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La vita sprecata di milioni di schiavi nel mondo, migliaia in Italia. E la crisi favorirà la tratta

Iovan ha 13 anni e viene dalla Romania. Ha problemi alla mano sinistra, è focomelico. E’ arrivato in Italia con suo cugino, in accordo con la famiglia, nella speranza di poter essere sottoposto ad un’operazione di ricostruzione dell’arto mancante. A Torino, però, è finito in strada a chiedere l’elemosina. Con una serie di altri ragazzi menomati che girano sugli skatebord mostrando i loro moncherini per impietosire i passanti.

Sono milioni le storie come questa che hanno come protagonisti i nuovi schiavi del Terzo millennio, vittime di una sfruttamento che lede i più elementari diritti della persona. Quello della tratta degli esseri umani è infatti il business del futuro per la criminalità organizzata. Un affare che frutta cifre da capogiro, difficilmente quantificabili. Seconda voce di entrata dopo il traffico di droga, a livello mondiale, e terza dopo quella di armi in Italia.

Cifre impressionanti, presentate nell’ambito del convegno “La tratta di persone: dieci anni dopo la costituzione del comitato intergovernativo ad hoc per l’eleborazione del protocollo di Palermo”, organizzato dall’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), l’Unicri (Istituto interregionale delle Nazioni Unite per la ricerca sul crimine e la giustizia), l’Università di Palermo e l’Aiccre (Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni e delle regioni d’Europa). Un convegno nel quale il bilancio dei risultati raggiunti è stato definito piuttosto scoraggiante.

Nonostante sia stato firmato da molti Paesi, infatti, il Trattato non è ancora stato ratificato da tutti.
Ma anche da parte di chi lo ha ratificato non c’è ancora una vera consapevolezza della drammaticità e della portata del fenomento. «Che nel mondo di oggi ci sia ancora lo schiavismo è gravissimo e disgustoso – si sfoga con Il Messaggero Sandro Calvani direttore dell’Unicri, l’Istituto Onu per la ricerca sul crimine e la giustizia – ma questo non genera un senso di urgenza nei governi. Ci sono Paesi che non legiferano in materia. Si pensi che a livello europeo non esiste un organismo centrale per la lotta al traffico di persone mentre invece c’è per la droga».

Milioni di schiavi in tutto il mondo. Le cifre parlano di 1 milione di vittime ogni anno, di cui 500mila in Europa secondo un dettagliato rapporto del Copasir, il Comitato per la sicurezza della Repubblica. Per l’organismo di intelligence che ha recentemente presentato i propri dati al Parlamento nel 2007 in Italia sono state 1.267 le denunce per riduzione in schiavitù, 108 quelle per acquisto o vendita di schiavi, 645 per sfruttamento della prostituzione femminile, 2.278 per tratta di persone e 1.770 per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’Organizzazione internazionale del lavoro parla inoltre di 12.300.000 persone nel mondo sottoposte a sfruttamento lavorativo e sessuale, di cui l’80% donne, e più del 50% minori.

Gli ostacoli da superare. Ma quali sono gli scogli più duri per la repressione incontrati in questi anni? Il primo ostacolo è la non uniformità dei sistemi giuridici, ma anche la malafede di taluni Stati. L’impotenza delle istituzioni e i limiti di leggi nazionali differenti sono lampanti. «Se un magistrato thailandese alzasse il telefono per chiedere l’arresto di una persona dall’altra parte del mondo – esemplifica Calvani – probabilmente rimarrebbe inascoltato». Molto spesso infatti l’estradizione di un criminale è un miraggio difficile da raggiungere.

Le connivenze, l’impunità. E se è difficile fornire prove della connivenza dei governi con le organizzazione malavitose è comprovato che magistratura e autorità di pubblica sicurezza, in molti luoghi del pianeta, chiudono un occhio. In Asia, da cui provengono la maggior parte delle vittime, il traffico avviene con il viatico delle stesse compagnie di volo. «I trafficanti – secondo quanto denunciato da una fonte dell’industria aerea – sanno quali compagnie sono meno rigorose e possono perciò essere utilizzate per traghettare le loro merci umane senza troppi problemi». La stessa Onu ammette che ci sono spazi di impunità che i trafficanti conoscono benissimo e dei quali approfittano. Secondo il direttore esecutivo dell’Unodc, l’organizzazione delle Nazioni unite contro la droga e il crimine, Antonio Maria Costa «vi è una chiara mancanza di volontà non solo nel discutere il dramma in corso sotto i nostri occhi ma anche negligenza nel perseguirli penalmente». Infatti il Rapporto presentato dall’agenzia a febbraio registra una percentuale delle sentenze raramente superiore all’1,5 ogni 100mila persone. Esistono Paesi, anche nello stesso G8, in cui non è mai avvenuto un arresto. « O queste nazioni sono cieche – punta il dito Costa – o non sono attrezzate per affrontare il problema».

Traffico alimentato dalla crisi. Come se non bastasse, sarà la stessa crisi economica ad incrementare il traffico. La mafia internazionale , in questa fase, ha grandi risorse di denaro liquido proveniente da altri “investimenti” da inoculare nella compre vendita di persone, unico vero mercato a basso costo e alto guadagno che non ha rallentato con la crisi.

La ricetta del Copasir. Dunque quali le strategie in campo per ravvivare la lotta? La ricetta del Copasir, per quanto riguarda l’Italia, si basa su nove proposte operative, tra cui l’introduzione del reato di “danneggiamento, soppressione, occultamento, detenzione, falsificazione e procacciamento di documenti di identità e viaggio allo scopo di facilitare o effettuare la tratta”.

Il boicottaggio dei “prodotti” sul mercato della schiavitù. Su scala globale, invece, una delle armi deve essere il “boicottaggio” dei prodotti derivati dalla tratta. Se il fenomeno si estende, infatti, vuol dire che c’è una domanda (di prodotti a buon mercato, prestazioni sessuali ecc.). Solo riducendo la domanda si può stroncare l’offerta. «Ci vuole un consumatore più esigente – sostiene Calvani – Nei paesi nordici ogni prodotto è etichettato per tracciare gli standard del processo di produzione. Ma ci vuole anche la responsabilità individuale. Le persone e i giovani si devono rendere conto che con determinati comportamenti si può danneggiare qualcuno. Pensiamo, ad esempio, ai clienti delle prostitute: è risaputo che appartengono tutti alla cosiddetta società normale: professionisti, impiegati, insegnanti».

Livia Ermini, Il Messaggero.it, 15 May 2010

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