Società civili, popoli, nazioni e governi sono in conflitto tra loro in molte parti del mondo pur esistendo in realtà per lo stesso obiettivo prioritario di costruire benessere, felicità e pace.
In quasi tutte le Università del mondo i politologi in cattedra insegnano che il vero nucleo e soggetto di partenza della costruzione dei sistemi di convivenza nelle ere moderne è il popolo e la sua sovranità. I singoli e le famiglie delle ere precedenti sono entrati a far parte di un insieme socio-politico più ampio come il popolo e la nazione per eliminare l’instabilità violenta creata da migliaia di comunità auto-governate più piccole.
Lo status quo globale non mi pare però nulla di esemplare né di auspicabile come modello futuro per l’umanità del terzo millennio. Abbiamo oggi 193 nazioni sovrane associate nelle Nazioni Unite, così chiamate anche se è difficile trovare qualche esempio di entità al mondo più disunita di quella associazione, in disaccordo, in pratica, su quasi tutto quel che conta. Inoltre a guardarle bene molte delle bandiere che sventolano davanti al Palazzo delle Nazioni Unite a New York e a Ginevra sono un mosaico variopinto di colori e simboli, per ricordare le parti importanti e diverse che sono dentro ogni nazione. Si usano stelle piccole e grandi, strisce per tutti i versi, scimitarre, croci, cerchi e triangoli per dire che tante nazioni e popoli sono tutt’altro che uniti. Sono disuniti soprattutto i paesi che si chiamano uniti, appunto perché non lo sono; infatti se lo fossero non ci sarebbe bisogno di sottolinearlo. Per esempio è discretamente unita la Francia, anche se non si chiama Unione Francese, e sono molto meno uniti il Regno Unito, gli Stati Uniti, l’Unione del Myanmar, gli Emirati Arabi Uniti e la Confederazione Svizzera. Sappiamo tutti il risultato dello sbriciolamento dell’Unione Sovietica, della Repubblica Araba Unita, e di quel colossale errore di grammatica che è l’Unione Africana. Si vede che la colla che usano per tenerli uniti non è quella giusta ed è di scarsa qualità.
È altrettanto arduo per uno come me che insegna in un’università americana, spiegare il significato della parola “Unione” aggiungendo la denominazione geografica Europea. Nell’esperimento politico-economico unico al mondo dell’Unione Europea si esprimono le volontà unitarie di 28 nazioni, molte delle quali governate da più di un parlamento e più di un governo, oltre 20 lingue “nazionali”, altre 6 monete “unitarie” oltre all’Euro, che però è usato come moneta nazionale anche da altre 6 nazioni che non sono membri dell’Unione , un sistema inspiegabile di frontiere variabili che comprende anche altre nazioni non membri dell’Unione e un sistema di difesa militare governato da un’associazione -chiamata NATO- di altre 28 nazioni diverse dalle 28 dell’Unione Europea; la maggioranza della popolazione delle nazioni NATO vive fuori dell’Unione Europea. L’ispirazione culturale antichissima dell’Unione Europea è fortemente ispirata dall’agenda del Consiglio d’Europa che ha 47 paesi membri e una popolazione di 820 milioni di abitanti. L’agenda per la pace e la sicurezza dei popoli europei è affidata all’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (OCSE) con 57 nazioni membri, più del doppio di quelle membri dell’Unione Europea. Nessuno si sorprende dunque se l’Unione Europea e la NATO sono fortemente unite nel dare il loro grosso contributo alla disunione delle Nazioni Unite, votando contemporaneamente con tutte e tre le opzioni possibili (a favore, contrario, astenuto) per decisioni importanti dell’ONU, compreso il Consiglio di Sicurezza, dove sono frequenti i casi in cui il voto e veto opposto di Francia e Regno Unito rende la bandiera a 12 stelle dell’Unione Europea un simbolo di fuoco d’artificio.
Non dimentichiamo che fuori della porta delle Nazioni Unite ci sono un centinaio di popoli autodeterminatisi come tali, di cui solo la metà associati nell’Organizzazione delle Nazioni e Popoli non Rappresentati (UNPO, www.unpo.org) e circa altri cinquanta popoli non rappresentati nemmeno dall’UNPO, perché essi ritengono il suo statuto non rappresentativo delle loro istanze di indipendenza, pace e libertà. Alcuni di questi popoli non sono riconosciuti perfino da quelle nazioni i cui capi di governo amano farsi fotografare in memorabili strette di mano con i loro leaders, come nei casi più noti di Kosovo, Palestina, Taiwan, Tibet, Transnistria; molti di questi paesi in attesa di riconoscimento hanno un proprio parlamento eletto democraticamente, un governo, una moneta nazionale e un passaporto. Molti altri sono in conflitto da decenni per guadagnarsi la propria indipendenza.
A me non sorprende dunque che la maionese impazzita delle sovranità nazionali venga ormai messa da parte in molte decisioni che contano per la qualità della vita dell’umanità intera e soprattutto delle fasce più deboli. Altri decisori o interlocutori, senza bandiera e senza ambasciatori, contano di più di governi ed organizzazioni intergovernative, perché offrono soluzioni reali a problemi reali, e sono in azione sul campo per il 99% del tempo, dedicando solo l’1% del tempo a discussioni e riunioni. C’è chi dice che organi della società civile non sarebbero legittimati a decidere a nome del mondo intero: dunque Internet non avrebbe autorità per stabilire le denominazioni di chi la usa, o la Bill Gates Foundation non dovrebbe decidere da sola a quali paesi destinare i suoi programmi di vaccinazioni. Allo stesso tempo però nessuna nazione ha nulla da obiettare al fatto che il Comitato Olimpico Internazionale si compone di 205 Comitati nazionali, molti fatti di volontari, 12 di più delle Nazioni Unite e che 13 milioni di volontari della Federazione Internazionale delle Croci Rosse e Mezzalune Rosse provenienti da 189 paesi operino efficacemente a favore di 150 milioni di persone, senza mai sentire l’opinione del G8 o del G20.
In pratica a livello globale si replica quello che succede in un pronto soccorso ospedaliero: chi arriva in stato di emergenza non è per nulla interessato a sapere chi sono i membri del consiglio di amministrazione e i temi della loro agenda di riunioni; interessa invece che il medico sia esperto e voglia salvare vite a tutti costi.
Allo stesso modo dunque il ruolo della società civile è venuto alla ribalta in tante nuove espressioni negli ultimi anni in diversi paesi del Nord e del Sud del mondo come parte del processo di guarigione di nazioni sventrate del loro senso civico, a causa di governi incapaci o gravemente corrotti che non hanno saputo proteggere e far crescere il tessuto statuale come garanzia di protezione dei diritti di tutti. Il termine “società civile” oggi può coprire una vasta gamma di attori, comprese le organizzazioni non governative (ONG), associazioni professionali, organizzazioni a base comunitaria (CBO), gruppi informali, operatori dei media e semplici associazioni di individui.
Secondo alcune stime vi sono un milione e mezzo di Ong negli Stati Uniti, oltre un milione in Europa, 270.000 in Russia e oltre due milioni in India, cioè circa una Ong ogni seicento indiani, anche se molte di esse si occupano solo di una scuola o di un centro di salute. Il loro numero continua ad aumentare ed è quasi impossibile mantenere un registro globale delle Ong, soprattutto di quelle locali o presenti solo in una nazione. Un tentativo di registro il più ampio possibile di Ong viene promosso dall’Associazione mondiale delle Ong (Wango) www.wango.org, ma un registro davvero completo delle Ong nel mondo non esiste. Ogni settore di interesse specifico, ad esempio la protezione dei diritti umani oppure dell’ambiente, cerca di facilitare un coordinamento globale delle organizzazioni che si occupano di quel settore. Ad esempio la rete mondiale www.beyond2015.net si è fatta carico di coordinare il contributo di quasi mille Ong per lo sviluppo sostenibile al dialogo promosso dalle Nazioni Unite sugli obiettivi di sviluppo sostenibile da promuovere dopo il 2015.
Il mese prossimo le Nazioni Unite decideranno un nuovo consenso globale sui contenuti dell’agenda dello sviluppo sostenibile dopo il 2015; ma servirà una forte pressione dell’opinione pubblica mondiale perché i governi prendano sul serio un tale nuovo impegno per il futuro dell’umanità invece di concentrarsi solo sulle crisi che riempiono le cronache quotidiane.
La società civile può esercitare pressioni perché un accordo efficace in difesa della democrazia e dei diritti umani emerga nel mondo prima dell’Assemblea ONU dell’Ottobre 2015 che voterà sugli accordi in tal senso che andranno in vigore dopo il 2015. Attori della società civile svolgono un ruolo essenziale come interlocutori per la democrazia e per i diritti umani, come la non-discriminazione, la non violenza, la partecipazione inclusiva e la parità di genere. Un po’ come un’ambulanza nel traffico, gli attori della società civile dovrebbero essere meglio ascoltati e protetti dai governi e dai popoli in via di transizione. Essi vengono invece attaccati quotidianamente sia da governi che da fazioni violente che non vogliono dare spazio al dissenso pacifico o al dialogo non-violento.
Società civili leaders dell’innovazione sociale, politica ed economica di cui il mondo ha bisogno si rafforzano e sono efficaci dove esiste una forte empatia dei popoli e dei governi per i beni comuni che le società civili vogliono difendere e far crescere. Solo così le società civili potranno ottenere un ruolo da co-protagoniste primarie e non da supplenti dei paradigmi futuri di pace, giustizia e sviluppo sostenibile per tutti i popoli.
http://www.asvi.it/30/09/2014/blog4change/non-profit-blog/societa-civili-protagoniste-dei-paradigmi-futuri-di-pace-giustizia-e-sviluppo-sostenibile-per-tutti-i-popoli/
asvi.it, 30 Sep 2014