Di fronte alle sfide globali e alla crisi della democrazia , è ora di cambiare le regole andando verso un governo internazionale dei beni comuni. Con uno sguardo rivolto a Oriente. L’Occidente, infatti, potrebbe guardare con meno arroganza alle applicazioni del pensiero orientale, che ha scelto da sempre il baricentro della felicità del popolo, prima di quello del profitto o dell’individuo. Mondi a confronto: se ne può uscire insieme.
Siamo bombardati ogni giorno da notizie di problemi nuovi sempre più grossi accompagnati da ipotesi di soluzioni vecchie evidentemente inefficaci che diventano parte del problema. È iniziata dunque un’era di incertezze? Se le guardiamo con onestà intellettuale, tutte le sfide di questa epoca di grandi cambiamenti rivelano che si tratta in realtà di un radicale cambiamento d’epoca, caratterizzato da tre componenti incomprese.
La prima è la fine della rilevanza dello stato-nazione come strumento di risoluzione dei grandi problemi della gente e del mondo. Infatti nessuno dei grandi interrogativi del nostro tempo può trovare una soluzione efficace e sostenibile dentro un singolo stato. Ma si continua a invocare il nazionalismo – evidentemente un paradigma del passato – per risolvere i problemi del presente e del futuro. Popoli e governi si oppongono ostinatamente all’eliminazione delle frontiere e delle sovranità nazionali, sperando che i vecchi muri reggano anche queste nuove sfide. In realtà si tratta di una stato d’assedio al quale nessuna nazione può resistere.
Il secondo grande nodo è la crisi della democrazia che, ammalata di paura, si rifugia spesso in plebisciti e referendum più o meno populisti, lasciando scegliere al popolo che non sa o non comprende cosa sta succedendo. Semplificando un po’ questa crisi, è come se di fronte a un’epidemia di nuovi virus, le medicine fossero scelte con un referendum.
Infine il terzo nodo è la trasformazione chimico-bio-fisica della Terra e dell’ambiente, comprese acqua, energia, aria, e molti altri elementi chimici fondamentali. Sembra che la Terra, che, come diceva il Cantico delle Creature di San Francesco mille anni fa, «ci sostenta e ci governa», stia scrollandosi di dosso una specie umana come l’homo sapiens che non rispetta i limiti invalicabili planetari e vuol fare di testa sua. Così l’economia e la finanza hanno usurpato il governo del pianeta. Lasciandole fare e disfare il creato, l’homo sapiens è diventato un falso e pasticcione homo deus.
Chi si occupa di fare chiarezza?
Ci sono pochi tentativi di dialogo e riparazione delle crisi globali, la maggior parte sotto l’egida delle Nazioni Unite. Ma in molti casi sono tentativi deboli con leadership scarsa che cercano il minimo comune denominatore delle crisi, invece di incoraggiare i popoli a cambiare strada.
D’altronde, se non cambiano le regole del gioco, le Nazioni Unite, che spesso sono costrette a giocare contro se stesse e contro le proprie regole, non riusciranno nemmeno a trovare l’arbitro giusto, capace di mostrare un cartellino rosso e far poi rispettare la decisione presa. Si dovrebbe andare invece verso un governo internazionale dei beni comuni, eliminando tutte le regole che lo impediscono.
Io vivo in Thailandia, una grande nazione dell’estremo Oriente. Osservando le esperienze dei popoli asiatici, mi sono convinto che il vecchio continente ci guadagnerebbe parecchio a lasciarsi “orientare” di più dalle esperienze, culture, scelte economiche e sociali dell’Asia, che da sola ha più popolazione e dunque più cervelli e mercati di tutto il resto del mondo messo insieme. L’Occidente, che ha responsabilità pesanti per le scelte sbagliate che hanno generato molti dei grandi conflitti e disastri socio-economici moderni, potrebbe guardare con meno arroganza alle applicazioni del pensiero orientale, che ha scelto da sempre il baricentro della felicità del popolo, prima di quello del profitto o dell’individuo. Certo non è tutto oro quel che luccica in Oriente, ma un dialogo e un’osservazione più alla pari sarebbero utili, abbandonando la gran voglia che ha ancora l’Europa di dare lezioni al mondo intero.
Cristiani e “santa inquietudine”
Nella visione di papa Francesco la Chiesa può giocare un ruolo fondamentale, dando credibilità e fiducia a quell’universalismo umanista che la definisce cattolica, e che ha sempre ispirato la presenza della Chiesa nel mondo contemporaneo a partire dalla Rerum Novarum di Leone XIII nel 1891, fino alla costituzione Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II. Ma una parte troppo grande della Chiesa fa solo il tifo per Francesco, senza provare a cambiare il quotidiano clericalismo, egoismo, perbenismo e ignavia diffuse nella Chiesa, che la stanno asfissiando, per mancanza dell’ossigeno vitale della vera misericordia vissuta ogni giorno. Francesco, come ogni grande leader visionario, ha bisogno di un popolo ugualmente coraggioso, che si metta a sciogliere i nodi del mondo, certo non li può scogliere il papa da solo.
Troppi battezzati, dimenticandosi della grazia che hanno in sé, interpretano negativamente la santa inquietudine che deve scaturire dalle incertezze e guardano con pessimismo al futuro, mentre solo una visione ottimista e gioiosa della cooperazione umana può sciogliere i nodi del mondo. Ogni incertezza andrebbe affrontata senza più vergognarsi o commiserarsi della propria piccolezza, incapacità o inutilità. Come scriveva Rabindranath Tagore, le stelle non si vergognano di sembrare lucciole.
Segno, Oct 2016