La Coca Cola di Garibaldi

Prima di quello ormai famoso di Atlanta, molti altri farmacisti lavorarono su bevande a base di foglie di coca. Uno di questi fu Domenico Lorini, eroe dei Mille. Che invento’ un elisir dal quale…

Bollicine che vogliono dire America. Coca Cola come Empire State Building, Cascate del Niagara, Hollywood o Wall Street: stelle della stessa bandiera. Eppure la bevanda piu’ famosa, non solo nelle abitudini, ma nell’amore e nella contestazione yankee, discende da nonni italiani. L’ avventura e’ lunga: comincia nel 1857. La racconta Sandro Calvani, che dirige il centro Onu per controllo del narcotraffico nei Caraibi, in un libro appena uscito: “La profezia della coca”, editori Lupetti e Manni. Calvani e’ vissuto anni in Bolivia dove ha raccolto storie sepolte fra le scartoffie della Antigua Botica y Drogueria Boliviana aperta attorno al 1840 da un farmacista italiano: Enrico Pizzi.

Nel 1858 Pizzi pubblica sulla Gazzetta Ufficiale di La Paz la sua scoperta: dalla foglia di coca e’ riuscito a sintetizzare una polvere bianca che chiama cocaina. Forse lo ha convinto a render noto il risultato della ricerca un antropologo e patologo famoso nella storia d’Italia: Paolo Mantegazza, monzese vissuto a Salsa, Argentina. Era salito sulle Ande nel 1857. Le sue note esprimono meraviglia per la polvere ricavata dalla foglia: “Contiene quantita’ considerevole di caffeina”. Purtroppo Pizzi divide la fortuna con un socio boliviano. Litiga, viene schiacciato: se ne va. Continua gli esperimenti in Peru’. E comincia un giallo che sarebbe piaciuto al Poirot di Aghata Christie: intrigo demodee su transatlantici con tre fumaioli, protagonista una spia che ruba la scoperta. Passa da Lima un viaggiatore dall’aria romantica: allora erano tanti, ma romantico non era. Johan Jakob von Tschudi, passaporto svizzero, sangue austriaco, diventa amico del farmacista, ne raccoglie l’entusiasmo e riattraversa l’oceano con una boccetta di polvere e un pacco di foglie.

Parte con tante promesse; in viaggio cambia idea. Sostituisce la cocaina con un po’ di gesso; lascia marcire le foglie. Quando arrivano nel famoso laboratorio dell’universira’ di Gottinga non servono a niente: erba secca. Glielo scrive “amareggiato”. Intanto prepara un’altra spedizione d’accordo col dottor Albert Niemann, seconda ruota del laboratorio famoso: sente odor di soldi e gloria. L’anno dopo e’ proprio Niemann ad annunciare al mondo: ho scoperto la cocaina. La farmacia di La Paz passa da una mano italiana all’altra, mani convinte di possedere la formula della polvere miracolosa: tira su di morale perfino il presidente del Paese caduto da cavallo. Fantastica pubblicita’ se mescolata a un elisir “quasi miracoloso”. Perche’ Clemente Torretti che aveva preso il posto di Pizzi, cercava senza successo sbocchi commerciali: spedizione di foglie di coca nei mercati di Parigi e Milano. Guadagno discreto, ma nella routine di qualsiasi prodotto esotico. Elabora qualche specialita’ con la coca: fortuna cosi’, cosi’.

Ma e’ merito di Giuseppe Garibaldi e di una ragazza milanese che rifiuta l’amore di un giovanotto, se la coca comincia a diventare Coca Cola. Nel 1872 arriva a La Paz il farmacista Domenico Lorini. Ha combattuto fra i Mille seguendo il suo eroe fino a Bezzecca. Patriottismo, ma anche onore di famiglia. Il fratello Defendente era morto in un assalto alla baionetta e Giuseppe, altro fratello, ferito in modo tale da non poter avere piu’ figli. Dopo la guerra e’ sindaco famoso di Milano. Domenico, in crisi d’amore, cambia aria. A La Paz il farmacista di Garibaldi diventa professore di scienze naturali, fonda la facolta’ di farmacia e ricomincia le ricerche sull’uso della coca. Ecco apparire l’Elisir di Coca Lorini. Fama che attraversa il mare: arriva all’universita’ di Edimburgo dove il professor Ralpf Stekman lo raccomanda a chi e’ spompato per “postumi di malattie polmonari, esaurimento di forze, debolezza gastrica e intestinale”. E’ il 1879. In Europa la cocaina usciva, e’ vero, dall’universita’ di Gottinga, ma incantava solo uomini famosi.

Freud diventa una specie di spacciatore senza guadagno. La consiglia nelle lettere alla fidanzata, la prescrive ai clienti depressi. Per poi pentirsene “avendo negli anni constatato lo sfacelo che provoca”. Resta, comunque, un “miracolo” chiuso fra i segreti dei luminari, fino a quando gli elisir che Lorini spedisce dalla Bolivia arrivano a Parigi. Follie nella citta’ di un fine secolo che cerca la felicita’. Stravaganze di chi sogna la grande vita scegliendo scorciatoie. Angelo Mariani, madre toscana, padre corso, tirava la cinghia. Sempre espedienti, moralita’ disastrosa. Assaggiato l’Elisir di Coca, scoperte le sensazioni del masticare le foglie, perfeziona in senso enologico l’intuizione di Lorini. Costruisce serre dove coltiva la coca sotto Montmartre. Ha in mente di sfruttare la curiosita’ degli intellettuali che hanno voglia di scoprire i misteri del mondo andino. Battezza i suoi giardini “santuari di mamma coca”. Vendere foglie non gli basta. Prova qualche sciroppo: nessuno li compra. Poi l’idea: versare sulle foglie un buon Bordeaux. Nei casi speciali “sorprende gli ammiratori con un tocco di polvere bianca”. Il Vino Mariani trova uno sponsor di riguardo: Napoleone III.

Quando l’imperatore va a Roma ne porta in regalo a Papa Leone XIII. Sovrano e Papa diventano clienti abituali. E dal Vaticano arriva all’ex macro’ la piu’ alta onoreficenza col sigillo del Pontefice. “Sono confezioni speciali”, confessa Mariani. Due litri di Bordeaux e 450 grammi di foglie di coca. Morale alle stelle per chi beve. Da parigi il Vino Mariani sbarca nell’America del Nord e lo assaggia un ammiratore con dentro un’avventura frustrata. Vent’anni prima voleva commerciare nelle foglie degli Incas, ma perde la nave in partenza per Lima. Prossimo battello fra nove mesi: resta senza soldi. Allora Samuel Clemens, europeo impantanato a New Orleans, tira avanti come timoniere dei vapori che salgono il Mississippi. Ogni sera scrive un diario e quando pubblica i diari li firma Mark Twain. Scrive quasi in dialetto, alla gente piace. Piace anche ai politici, cosi’ fa il giornalista nell’ufficio stampa del presidente Ulysses Grant. Grant si ammala: tumore. Soffre, ed ecco Twain scoprire il Vino Mariani. Gliene procura quantita’ industriali. Il presidente sembra migliorare, lascia il letto e lo scrittore annuncia all’America il prodigio scatenando imitazioni e diritti di brevetto da pagarsi in tribunale. Parke Davis, di Atlanta, registra nel 1880 il suo “vino francese di coca, tonico e stimolante ideale”. Nasce la Pemberton Chemical Company che trova una variante “rinfrescante” per signore insofferenti agli alcolici. Sparisce il vino, ecco la novita’: si aggiunge caffeina e un po’ di aromi che ne nascondono il gusto “terribile”. Ispirazione africana. L’esploratore Livingstone era stato ripescato dal giornalista Stanley sulle rive dello Zambesi. Racconta di aver superato la fatica masticando noci di cola. Assieme alle foglie americane, queste noci si mescolano in uno sciroppo che si consiglia di “allungare con acqua gasata”. E poi, poi: il resto lo sanno tutti. Val la pena ricordare la prima farmacia che versa il primo bicchiere di sciroppo mescolato a soda: dottor Jacobs, Atlanta, autunno 1886. Il nome di oggi arriva quattro anni piu’ tardi. Da allora e’ sempre Coca Cola.

Corriere della Sera, 9 Jun 1997

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